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LA PSICOTERAPIA ONLINE

Note sulla Psicoterapia online
Dott. Filippo Strumia
In "Psicobiettivo"
Editore Franco Angeli
Anno XXXIV n. 3

Le innovazioni scompigliano le abitudini acquisite e costringono a riflettere sul proprio lavoro. In queste pagine presenterò qualche riflessione sulla terapia online che pratico da diversi anni. Non ho pretese di scientificità, il valore di quanto dirò è solo aneddotico. La terapia online consente di sostenere colloqui con pazienti a distanza, grazie all'ausilio del computer, in cui si abbia scambio verbale e osservazione del proprio interlocutore nel monitor. E' possibile, dunque, riprodurre la situazione di un colloquio vis à vis, con la differenza che ciò non accade nella stessa stanza ed è necessario l'utilizzo del computer. Ogni innovazione, dicevo, dà una scossa all'insieme di abitudini che è parte dell'agire. Comporta, cioè, la possibilità di distinguere quanto è necessario e proprio alla terapia e quanto, invece, derivi da abitudini acquisite, rituali, automatismi mentali e comportamentali che inconsciamente sono annessi all'agire, ma restano come un punto cieco della coscienza. A questo riguardo è interessante riflettere sulle reazioni della comunità scientifica all'introduzione della terapia online. E' utile, cioè, esplorare i vissuti propri e dei colleghi che si confrontano con questa novità. Questo punto di osservazione, introdotto da Migone (2003), è quello che più di altri, a mio avviso, rende utile la riflessione.


Chi s'inoltra nella formazione analitica o psicoterapeutica e fa di questo non solo la professione ma la passione di una vita, cerca qualcosa. Ha in mente, in modo più o meno conscio, un valore da raggiungere e difendere. Qualcosa di prezioso ed elusivo. Nel linguaggio di Winnicott (1960) si potrebbe definire vero sé, in termini junghiani individuazione. Qualsiasi espressione verbale, però, risulta manchevole perché "l'oggetto" psichico in questione è percepito come condizione necessaria per esistere davvero e, al tempo stesso, non rientra in definizioni verbali, le quali possono solo alludere all'oggetto con segni linguistici a cui non corrisponde di per sé capacità simbolica, cioè evocativa del portato dell'oggetto. Il "valore", diciamo così, coltivato e difeso non coincide con una definizione promossa della coscienza, ma comprende un insieme di vissuti e di memorie implicite con un ampio e denso alone semantico. La parola "simbolo", nel senso junghiano, resta la più appropriata e per questo proporrò in questo breve scritto che la motivazione ultima di chi opera in psicoterapia è la ricerca di un oggetto psichico simbolico, denso e necessario che ha a che fare con la percezione di sé e del mondo in termini tanto propri quanto rivoluzionari, o meglio, eversivi; che non derivi, cioè, da un codice predefinito di branco ma che scaturisca da un incontro tra le premesse collettive e la specificità unica del vissuto soggettivo. Il carattere necessariamente allusivo e simbolico di tale oggetto (tanto che la parola oggetto pare manchevole, ma è difficile trovarne una migliore) fa sì che all'intensità motivante del vissuto non coincida una chiarezza dell'argomento. Nel mondo junghiano parliamo di Sé, ma credo che colleghi di altre scuole abbiano una percezione simile quando difendono con passione un modo o un altro di concepire al clinica. Le discussioni fra analisti, cioè, a mio avviso non sono solo confronto di idee ma incontro tra propensioni simboliche e passioni le quali utilizzano il linguaggio scientifico per esprimersi, ma il cui contenuto va al di là del dibattito e della possibilità dialettica.

Se l'oggetto da difendere e promuovere fosse chiaro e ben definibile, il confronto scientifico sarebbe facilitato, ma così non è. L'oggetto individuazione trascende le possibilità della coscienza egoica, quindi non può essere racchiuso in definizioni e studiato al microscopio, né quantificato. E' interessante, a questo proposito, notare il carattere passionale del confronto fra analisti. In passato, soprattutto, si sono avute vere e proprie guerre di religione su cosa fosse propriamente analitico e cosa, invece, corruzione. Ricordiamo l'antico sospetto reciproco fra junghiani e freudiani, il conflitto Anna Freud- Melanie Klein, i fiumi d'inchiostro pro e contro i "parametri" di Eissler, l'ambivalenza nei confronti di Bowlby, l'accoglienza sospettosa e inquieta nei confronti dei contributi neuroscientifici e sull'uso dei farmaci. In campo scientifico il dibattito e la passione sono parte del gioco, in ambito analitico, però, i disaccordi acquistano caratteristiche etiche. I difensori della "purezza analitica" vedono in chi adotti atteggiamenti diversi non solo qualcuno che sbaglia clinicamente, ma qualcuno che corrompe e inquina un oggetto prezioso. I sostenitori di altre forme cliniche, al contrario, vedono nelle regole analitiche un'ingessatura difensiva a beneficio dell'analista, percepito come emotivamente ed eticamente incapace di sostenere la vivacità attuale dello scambio. L'espressione "guerra di religione", utilizzata poc'anzi, non vale solo come un'iperbole. Sembra, infatti, che in ballo ci sia qualcosa che allude a vissuti di ordine religioso, quantomeno numinoso. Nelle discussioni notiamo, da ogni lato, la spinta emotiva ed etica a difendere un oggetto prezioso e fragile, percepito come corrompibile dalla parte avversa. Dal momento, però, che l'oggetto è tanto importante quanto ambiguo, il confronto si scatena sulla tecnica e sulla teoria, non trovando altro linguaggio. Da qui il carattere fanatico e poco intelligente di molti dibattiti. A proposito di religione, si potrebbe usare come metafora la distinzione antropologica tra sacro e santo; in cui il sacro sia l'oggetto indicibile e numinoso, perturbante, inesprimibile e irrappresentabile; il santo, invece, l'insieme delle pratiche rituali che consentono di maneggiare la potenza e ambiguità del sacro. In campo analitico, quindi, le discussioni non potendo vertere sulla "sacralità" dell'oggetto in questione, si scatenano sulle pratiche cliniche e sulle teorie. Sul santo.

La terapia online è un'ottima possibilità di distinguere quanto vi sia di santo e di sacro nel nostro modo di operare, quanto, cioè, propenda verso il mistero dell'individuazione e del rapporto umano e quanto sia attaccamento ai rituali, abitudine, utilizzo di metafore morte idealizzate. Per ragionare su questa nuova possibilità offerta dall' informatica, dobbiamo provare ad eludere l'automatismo mentale che farebbe schierare pro o contro ed evitare, così, il carattere religioso ed etico del confronto, anzi includerlo ma sapendo di farlo. La domanda, dunque, potrebbe essere: utilizzando colloqui online è possibile creare le condizioni di una relazione che favorisca lo sviluppo psichico che includa ed alluda al valore profondo dell'individuazione? Propongo, qui, di non dedicare troppa attenzione ai pur meritori contributi sulla validazione scientifica, cioè terapeutica, dei colloqui online. A mio modo di vedere, l'utilità è evidente di per sé a chiunque si disponga all'utilizzo di questa tecnica. Affidarsi, cioè, al dibattito scientifico riguardo alle evidenze cliniche a me pare un'operazione pigra e inessenziale. Riguardo al valore dello scambio analitico, non è necessario né tantomeno sufficiente l'avallo degli imprecisi parametri standard. Questo vale, a mio avviso, tanto nelle analisi tradizionali, quanto in quelle online. Il contributo delle valutazione quantitative sui risultati è importante ma non sufficiente, non può sostituire il valore dell'esperienza soggettiva. Abbiamo tutti esperienza come nel campo apparentemente chiaro della salute mentale , nei casi, cioè, in cui non è formulabile una diagnosi psichiatrica, troviamo persone che vivono in modo creativo e danno un senso alla propria esistenza e persone che si barricano in una percezione piccola e asfissiante di sé e del mondo. Una persona che si apra al mistero dell'esistenza e lo viva nelle ossa e nella pelle, dando corpo e senso alla propria vita, non sarebbe registrabile dagli attuali strumenti di valutazione. In una parola: gli strumenti di valutazione standard sull'andamento della terapia sono importanti ma insufficienti. Vedono troppo poco e quello che registrano non è, spesso, l'essenziale.

Qual è dunque il fattore che favorisce l'individuazione? La regolarità delle sedute, la regola del pagamento, la presenza fisica nella stessa stanza? L'uso dell'interpretazione? L'apertura al qui e ora dell'intersoggettività? La domanda è così complessa che potrebbe scoraggiare, proviamo a cercare un altro vertice e andare per gradi. Qual è, dunque, la prima condizione perché si stabilisca un rapporto analitico, la dipendenza o la collaborazione? Credo che, in accordo col modello junghiano e col contributo delle scuole cognitivo comportamentali e con le varie forme di intersoggettività, ciò di cui abbiamo bisogno nel rapporto analitico è stabilire una rapporto di collaborazione. Trovare, cioè, un interlocutore con cui condividere un viaggio intimo e in gran parte ignoto, collaborando per sostenerlo e promuoverlo. Ora, nel rapporto online è non solo possibile, ma necessario, dedicare molta attenzione alla possibilità di collaborare. Discutere, cioè, con ogni singolo paziente l'opportunità di lavorare insieme e i modi (frequenza, modalità di pagamento, orari, eventuali spostamenti). Lavorando nel proprio studio si può contare, all'inizio del rapporto, sull'effetto suggestivo e rituale del recarsi allo studio dell'analista. Il paziente deve uscire di casa, arrivare allo studio, dedicare tempo al tragitto, trovare parcheggio, trovare l'analista fisicamente lì e disposto a riceverlo. Questo aspetto ripetitivo e, dunque rituale, del rapporto è del tutto diverso nella terapia online. Il paziente non si reca fisicamente nel luogo dell'analista, non accede, cioè, in un luogo altrui ma predisposto all'incontro, resta nella propria ambientazione fisica. Viene meno, così, l'aspetto rituale dello spostamento e l'impatto con un luogo preposto che funge da ambiente transizionale. Tornando alla metafora religiosa, viene meno il percorso fino al tempio o alla chiesa e la celebrazione sacra in un luogo dedicato. Resta il cuore dell'esperienza. Il "sacro" per così dire è meno imbrigliato nella santità del rituale. Va da sé, però, che l'uso del computer non esclude la rituale ripetizione dei gesti, la regolarità degli incontri, ma questi non avvengono in uno spazio reale condiviso. Le differenze ci sono, andrebbero meglio studiate, ma- nella mia esperienza- non troppo significative. Quando il vertice è posto sulla collaborazione, e non tanto sull'attaccamento, l'importanza del rituale è compensata dalla vivacità dello scambio e dalla percezione vivida della presenza psichica dell'altro.

Quello che mi pare rilevante, dunque, è stabilire fin dai primi colloqui online un clima di collaborazione superando la pruderie che un simile atteggiamento paia poco analitico. Porsi in una condizione di disponibilità a fare qualcosa di non prestabilito ma decidere e negoziare con ogni singola persona le regole del setting. E' molto diverso proporre l'analisi come un pacchetto di regole da seguire oppure discuterne una per una, mostrando pro e contro, e negoziando il tipo di relazione da stabilire. Quando si discute sulla frequenza, ad esempio, è importante a mio avviso proporre varie possibilità, mono settimanale o più, illustrando pro e contro di questi stili di rapporto e confrontarsi apertamente con l'opinione del paziente. Così anche riguardo alla regola del pagamento. La pratica classica del pagamento delle sedute saltate può essere discussa, illustrandone pregi e difetti e concordano col paziente la condizione più adatta. Ora, questo modo di lavorare (particolarmente utile, a mio avviso, nella terapia online ma non necessariamente specifico di questa tecnica) presuppone una visione dell'incontro analitico che ha come vertice, appunto, la collaborazione. Questo è un primo nodo teorico clinico che appare quando ci si dispone alla terapia online. Qual è la condizione ineludibile nel rapporto analitico? La regressione, ovvero la dipendenza-attaccamento o la collaborazione? Nei modelli, come quello veterofreudiano, che sostengono la necessità della regressione e il suo primato sulla collaborazione, la terapia online può andare stretta. Alcuni colleghi, ad esempio, non amano i colloqui introduttivi ma preferiscono avviare immediatamente l'analisi con l'idea che tali incontri possano strutturare delle difese in seguito difficilmente aggirabili. Chi condivide un modello siffatto sarà a disagio nei colloqui online.

Il primo contatto col paziente potrà avvenire, come d'abitudine, al telefono oppure via Mail come spesso accade nella terapia online. E' opportuno rispondere quanto prima e discutere, anche via Mail, le caratteristiche del primo colloquio. Chiarire, per esempio, che sono necessari due elementi: una buona connessione internet e la riservatezza del colloquio. Ritengo importante sottolineare da subito l'importanza della riservatezza, il paziente potrebbe sottovalutare questo aspetto e immaginare che si possa fare terapia con il proprio coniuge o figli accanto. Ritengo utile comunicare subito il costo della seduta e la modalità di pagamento, il quale avverrà probabilmente per bonifico. Concordare dunque un orario per il primo colloquio e comunicare gli estremi per connettersi online. In alcuni casi, quando la residenza del paziente non è troppo lontana, è possibile effettuare almeno il primo colloquio nel proprio studio. Ho trovato molto utile proporre questa possibilità al paziente, allo scopo di conoscersi almeno una prima volta di persona e poi proseguire online.

Il primo incontro online è particolarmente impegnativo. In questo momento la peculiarità del mezzo tecnico avrà molto spazio e, a mio avviso, è bene esplicitarlo. Comunicare, ad esempio, che entrambi si trovano in un contesto inusuale, artificiale, e che si farà del proprio meglio per intendersi, pur considerando la difficoltà della situazione. Mi pare necessario che l'analista abbia un atteggiamento molto aperto, che consideri cioè il primo colloquio come una prudente esplorazione e non preveda che un buon esito dell'incontro sia l'avvio di una terapia. Il paziente può chiedere una consulenza per le ragioni più svariate, la facilità di accesso online fa sì che molte richieste di contatto non coincidano con l'intenzione di avviare un lavoro insieme, ma si limitino a consigli, generici indirizzi di comportamento, o a un mero scambio di opinioni. Tenere in mente questo aiuta a conservare un atteggiamento aperto, non condizionante, e a limitarsi alla collaborazione attuale. Fare del proprio meglio perché quel singolo colloquio possa tornare di qualche utilità, prescindendo completamente dal fatto che possa preludere a una terapia. Questo modo di porsi sposta sottilmente il vertice della situazione dalla dipendenza alla collaborazione. L'analista si pone come un temporaneo compagno per il breve viaggio di un colloquio e non come chi, dotato di qualcosa di importante, deve trovare il modo di comunicare questa possibilità al paziente e avviarlo sul proprio terreno. I vecchi criteri di analizzabilità possono essere sostituiti col più pragmatico: in queste condizioni, siamo in grado di collaborare? E per fare che? Esplicitata l'originalità della situazione online e discussa col paziente, è bene passare al colloquio clinico vero e proprio che non si distingue molto da un primo incontro nel proprio studio se non per il grado di partecipazione dell'analista. Il paziente presenterà le sue difficoltà e sarà opportuno da parte del clinico essere partecipe in modo vivace, chiedere chiarimenti e confrontazioni, non lasciare troppo spazio al silenzio. Le pause potranno essere utili e tollerate, ma non nei primissimi contatti. Non dobbiamo dimenticare la peculiarità dell'incontro e il paziente ha bisogno e diritto di avere percezione della realtà psicofisica dell'analista, di farsi un'idea del suo modo di porsi, costruire una rappresentazione mentale il più possibile vivida dell'interlocutore. Manca la presenza nello studio, l'osservazione più o meno conscia dell'arredamento e quindi del gusto, e la presenza fisica dell'analista è meno vivida. Il vecchio modello di analista specchio pare poco compatibile con questo modo di lavorare, posto che quell'atteggiamento conservi validità di fronte alle acquisizioni scientifiche moderne. A questo proposito ritengo utile che l'analista sia disponibile a una moderata attitudine alla self disclosure, che dica, quando sollecitato, qualcosa di sé , che spieghi, ad esempio, come mai lavora online. La riservatezza va commisurata con lo strumento, un atteggiamento eccessivamente asciutto non dispone alla collaborazione ma alla dipendenza da un oggetto troppo misterioso e inaccessibile. Per dirla in una parola, nei primi colloqui è importante che l'analista si "faccia perdonare" l'artificialità dello strumento, che se ne faccia carico e ne tenga conto. Se nel corso del primo colloquio comparisse la richiesta di una terapia è importante che si chiarisca bene il contesto dell'interlocutore. E' possibile che il paziente viva all'estero, in condizioni di isolamento linguistico, oppure abiti in un'altra città italiana, nella quale sarebbe possibile contattare un analista del posto. A mio parere, è bene chiarire col paziente che la terapia online può essere utile soprattutto per le persone che non hanno alternative, ma nel caso in cui sarebbe possibile accedere fisicamente allo studio di un analista è meglio, in linea di principio, evitare il lavoro online e invitare il paziente a contattare un collega del posto. In questo caso il lavoro online non sarebbe solo un ausilio per accedere a qualcosa di altrimenti impraticabile ma un parametro introdotto per qualche ragione da esplorare con molta attenzione. Poniamo il caso, ad esempio, che un paziente fobico chieda la terapia online per evitare di uscire di casa, ora, l'opportunità di avviare una terapia siffatta è dubbia e va discussa. Il rischio di stabilire un implicito contratto perverso è molto alto. L'utilizzo del computer, infatti, presenta delle caratteristiche che lo differenziano dal contatto di persona. Ogni incontro umano avviene in un luogo transizionale: si stabilisce un rapporto oggettuale e, nello stesso tempo, si dispiegano oggetti del mondo interno fusi con l'oggetto esterno. Ora, nel caso dei rapporti online, forse per la velocità e "l'economicità" dei contatti che li fanno assomigliare a fantasie, la quota ascrivibile al mondo interno potrebbe essere maggiore. Il dialogo è, più che in altri casi, sbilanciato all'interno, per cui è possibile che gli oggetti interni prevalgano e si manifestino potenti e precoci manifestazioni transferali di difficile interpretazione. Alcune persone, timorose del rapporto d'oggetto, potrebbero prediligere gli incontri online, allo scopo di non confrontarsi davvero, ma di restare nel recinto, incantato o stregato, del mondo interno. Di fronte a questa eventualità è bene, a mio parere, discutere subito i rischi e le caratteristiche di un rapporto siffatto. Quando il paziente vive in un contesto isolato e non ha possibilità alternative, non sarà troppo difficile accordarsi sul senso e l'opportunità del rapporto online, nei casi in cui il paziente potrebbe accedere a uno studio analitico, ma preferisce una terapia online, potrebbe essere davvero difficile evitare una perversione sistematica della relazione. Nel mio caso, non ho mai avviato terapie online con pazienti che avevano una ragionevole alternativa. Al momento, salvo casi particolari, mi pare l'atteggiamento più adatto. La particolarità di questa terapia richiede diversi colloqui introduttivi per trovare un punto di accordo e per familiarizzarsi con le caratteristiche del mezzo tecnico.

La negoziazione del setting: Come dicevo poc'anzi, il primato della collaborazione permette un miglior accordo nei primi tempi del rapporto. E' importante che la collaborazione sia effettiva e non retorica, che si estrinsechi cioè nella sistematica possibilità di scelta da parte del paziente, e non nell'accettazione di un pacchetto di terapia a scatola chiusa. A questo proposito trovo molto utile negoziare una per una le regole del setting, rendendo il paziente partecipe della scelta.


Nei casi in cui si ragioni su un lavoro sistematico, e non su colloqui saltuari, bisogna stabilire la frequenza degli incontri. Trovo utile chiamare il paziente a collaborare su questo spiegando che la frequenza cambia sottilmente lo stile degli incontri. E' possibile suggerire, ad esempio, che tanto meno frequenti saranno le sedute, tanto più assomiglieranno a una consulenza, una prestazione da utilizzare al di fuori delle sedute in cui l'attualità della relazione avrà meno peso; tanto più frequenti saranno gli incontri, invece, tanto più la relazione attuale con l'analista diverrà significativa e sarà possibile vivere in presa diretta i diversi stili di rapporto col mondo. La scelta sulla frequenza, dunque, non riguarderà un criterio di gravità clinica, quanto l'intenzione di lavoro. Nei casi in cui si richieda consulenza su un aspetto parziale e focalizzato della propria vita, può essere opportuna una frequenza minore, nei casi in cui la richiesta riguardi il proprio modo sistematico e pervasivo di porsi nel mondo, una frequenza maggiore sarà più coerente con la domanda. Ho notato, con un certo stupore, che è possibile discutere in modo approfondito questi aspetti col paziente fin dai primi incontri e addivenire a un accordo senza forzature da parte di entrambi. Questo vale non solo nella terapia online, ma in questo caso è, a mio avviso, quasi obbligato negoziare il ritmo delle sedute e non proporne uno a scatola chiusa.

Gli accordi sul pagamento sono uno dei nodi da sciogliere con attenzione e chiarezza. E' possibile proporre la regola classica del pagamento delle sedute saltate o accordarsi in altro modo. Quello che è importante, per me, è dare al paziente la possibilità e gli elementi per scegliere. Anche in questo caso è possibile spiegare la propria opinione al riguardo, dire, ad esempio, che la regola classica stabilisce una continuità di tipo particolare. Mi paiono utili esempi quali: "Con la regola classica è come se si affittasse una casa al mare, è sempre lì per noi anche se una volta andiamo altrove; pagando solo le sedute realmente svolte è come se andassimo frequentemente nello stesso posto, ma in albergo". Un aspetto che trovo utile sottolineare è che, nel caso di pagamento solo delle sedute svolte, la terapia assomiglia a un intervento on demand, nell'altro caso ha una continuità di relazione di tipo diverso . Il primo caso è più adatto in richiesta di intervent o parziale e focalizzato, il secondo nel caso di un'esplorazione più vasta e sistematica. Anche qui ho notato che la maggior parte dei pazienti è in grado di ragionare sul senso e valore di questo accordo e, con mia sorpresa, la grande maggioranza dei pazienti predilige la regola classica, quella che prevede il pagamento delle sedute saltate. La regola classica risulta particolarmente efficace nelle sedute online, anche perché un'ombra di questo rapporto è l'illusoria possibilità di annullarsi reciprocamente con un click. Il paziente può riservarsi la possibilità di eliminare l'analista sparendo nel nulla e, quindi, avrà il timore che lo stesso possa accadere a lui. E' possibile discutere col paziente che la regola classica attenua, almeno in parte, questa eventualità e resta, ovviamente, la possibilità di discuterne in seduta. Il pagamento sarà effettuato, nella grande maggioranza di casi, per via di bonifico ed è importante chiarire da subito che le ricevuto saranno inviate per posta.

Non ci sono ragioni per cambiare la durata della seduta nel caso di terapia online. Si possono adottare, dunque, i soliti 50 o 45 minuti a seconda della preferenza personale. E' importante sottolineare che la durata di ogni seduta resterà costante, a prescindere dall'importanza o intensità emotiva dell'incontro, e che questo deriva non solo da necessità organizzative del lavoro ma anche dal bisogno di circoscrivere l'esperienza in modo costante e prevedibile. Il paziente online, non accedendo allo studio, può avere difficoltà a capire che l'incontro debba avere limiti di tempo. Utilizzando il computer, forse per la preponderanza del mondo interno a cui facevo cenno prima, è più facile negare l'esistenza di altri pazienti e immaginare l'analista sempre disponibile al bisogno immediato. Dedicare del tempo per chiarire questo punto e trovare un accordo in linea di principio col paziente è utile per stabilire fin da subito una relazione vivida e reale. Superate l e difficoltà iniziali che derivano dall'uso del computer, la terapia, o analisi, si svolge, a mio avviso, in un modo del tutto affine al lavoro nello studio. Non ho notato, finora, alcuna caratteristica precipua delle terapie online una volta che la relazione diventa stabile e entra nel vivo. La differenza fra paziente e paziente, le infinite variabili di vita e d'incontro, superano di gran lunga le poche variabili introdotte dal contatto online. La relazione prende ben presto il sopravvento sul mezzo tecnico il quale resta come uno sfondo sul quale è opportuno tornare a riflettere di tanto in tanto, ma si defila dal centro della scena. Quello che conta, dicevo, è curare fin dall'inizio le caratteristiche e i vissuti evocati dall'artificialità del mezzo. Superati questi nodi, quello che resta è analisi.

Autorevoli colleghi hanno espresso perplessità e avversione riguardo alla terapia online. Questo fenomeno, a mio parere, è particolarmente interessante. Nonostante la mia opinione favorevole, ho notato anche in me stesso simili perplessità e timori sotto forma di fantasie, spesso potenti e persuasive. Provo a riassumere in breve i principali argomenti contro il lavoro online pur sapendo che questo elenco non può essere esaustivo.
  1. La relazione online è eccessivamente artificiale per cui, mancando del necessario calore, un lavoro di tipo analitico è impossibile.
  2. La percezione focalizzata sul suono delle parole e sull'immagine del monitor comporta la perdita di una grande quantità di stimoli percettivi e comunicativi fra i quali, postura, movimenti inconsapevoli delle gambe, piccole differenze di arredamento dello studio, i quali costituiscono un tessuto complesso e in gran parte inconscio di percezioni e correlate fantasie che garantiscono la profondità della relazione e la percezione complessiva dell'altro.
  3. L'utilizzo del computer cambia la prosodia della relazione, ritmo, pause, timing degli interventi, per cui non consente la libertà espressiva di cui l'analisi ha bisogno.
  4. La terapia online è uno stratagemma per aumentare la cerchia dei propri pazienti e non uno strumento clinicamente significativo.
  5. In assenza di una validazione scientifica sull'efficacia di questi trattamenti, tale pratica risulta avventurosa e avventata.

La prima cosa da notare, a mio avviso, è che tutte questa critiche assomigliano alle classiche argomentazioni contro l'analisi. Artificiosità delle regole del setting, deprivazione sensoriale (soprattutto con l'uso del lettino), meccanicità e laconicità degli interventi dell'analista, sospetti sull'onestà intellettuale ed economica degli analisti, assenza di validazione scientifica. L'introduzione di questa novità, dunque, riaccende le tradizionali perplessità sull'analisi che l'analista stesso dà per superate e risolte. Se queste critiche fossero mosse soprattutto da terapeuti di formazione non analitica, potremmo stupirci di meno, in realtà i più forti avversari del lavoro online sono spesso proprio gli analisti i quali rispondono più o meno consciamente alle stesse critiche in ogni singola ora del proprio lavoro. Perché? Per rispondere a questa domanda, propongo un'ipotesi ardita, sapendo che non avrò sufficienti elementi per sostenerla, ma che mi pare interessante per via intuitiva e potrebbe mostrare, indirettamente, alcune caratteristiche non pensate del nostro comune lavoro di analisti anche nel setting abituale del proprio studio. Come proponevo all'inizio di questo scritto, ritengo che al fondo della motivazione degli analisti vi sia un oggetto ideale difeso e inseguito, particolarmente prezioso ed elusivo. Qualcosa che va molto al di là di una concezione di salute mentale, ha a che fare con una virtuale pienezza dell'esperienza, complessità e apertura della percezione di sé e del mondo. Un sé possibile che vuole entrare in gioco in modo creativo e in buona parte imprevedibile, ma risulta ostacolato dai nodi dell'impatto con l'ambiente oppure dalla stessa complessità intrinseca del mondo interno, il quale necessita di una grammatica per esprimersi. Individuazione, vero sé, nucleo innocente, vivificatore (Symington 1993), sono termini che girano intorno, credo, al medesimo oggetto psichico. Ora, caratteristica di questo "oggetto" è una connotazione scandalosa ed eversiva. Provenendo dalla propria soggettività, non passa il vaglio dell'approvazione collettiva da parte dell'ambiente, né dalla medesima approvazione introiettata. Alcune immagini di questo oggetto ricordano il mito di Gesù perseguitato e nato nella stalla, il lapis in via eiectur degli alchimisti, la colpa originaria dell'espressione di sé che caccia Eva e Adamo dal giardino dell'Eden. Esistere come sé è uno scandalo, una separazione brusca dall'identificazione inconscia con la matrice ambientale ed espone a paura, vergogna e angoscia persecutoria. Il pensiero analitico è nato studiando e dando valore significante ed etico ai recessi della soggettività.

Pensiamo, ad esempio, ai fiumi di inchiostro intorno alle angosce intime del bambino. Ora, proprio la caratteristica di nobilitare la soggettività rende la nostra disciplina così importante e ha ricevuto, soprattutto in passato, una forma di delega da parte della collettività: il compito di indagare e difendere il soggetto unico e quindi straordinario che è in ognuno di noi. La legittimazione collettiva e teorica del nostro operare, dunque, consente di aggirare la vergogna e l'angoscia persecutoria connesse con l'occuparsi di sé e del sé altrui, senza privilegiare a tutti i costi l'adattamento al mondo esterno. Il nucleo scandaloso, tuttavia, che sta alla base dell'attività analitica, permane nascosto dietro alle incrostazioni dell' insieme di pratiche abituali, condivise, apprese dai propri maestri, con le quali si stabilisce una relazione simbiotica e identificativa. Vivere l'insieme delle pratiche abituali come significanti di per sé, dunque, ha un importante valore difensivo: consente di operare in un implicito e parzialmente inconscio avvallo da parte della tribù, eludendo i terrori che affliggono chi superi le colonne d'Ercole o mangi la mela proibita. A questo riguardo è preziosa la lezione di Kalsched e la sua concezione del sistema di sicurezza come organizzazione interna, tirannica e protettiva, che protegge il vero sé da esposizioni traumatiche al mondo esterno. L'insieme di pratiche abituali non pensate, così, possono fungere da sistema di sicurezza dell'analista che conserva in questo modo il nucleo di sé nascosto e protetto (ma anche limitato e tiranneggiato). Ogni novità o cambiamento che dia uno scossone a questo insieme di pratiche rituali e non pensate, provoca immediate reazioni indignate e ostili le quali, a mio parere, non sono rivolte tanto contro la novità ma contro l'autenticità di sé che trapela non appena si scosta la patina schermante dell'abitudine. E' una dinamica che ricorda il conflitto Puer Senex, si sovvertono i ruoli ma il conflitto permane: l'originale portato rivoluzionario dell'analisi diventa pratica Senex la quale attacca con violenza il Puer nascente nel momento stesso in cui mette il naso nell'insieme di rituali e pensieri automatici che costituiscono il corpo del Senex. Forse per questo le critiche rivolte all'analisi online ricordano le tradizionali critiche verso l'analisi stessa: questo pacchetto di argomenti, contrari e a volte denigranti, si scaglia contro il nucleo autentico che potrebbe essere portato alla luce. Svolge il ruolo di Erode, o del Dio della Genesi. Ironia vuole che ciò accada proprio in chi fa dell'autenticità dell'esperienza la passione di una vita. Non dobbiamo sorprenderci considerando che autenticità e persecuzione sono parenti stretti e quanto accade nel rapporto interpersonale avviene anche nel mondo intrapsichico.

In una parola, la pratica online, scompigliando le abitudini consolidate, scrosta l'identificazione inconscia col branco che fa da cornice al lavoro dell'analista e lo espone alla paura, vergogna e sospetto che si attivano fatalmente quando emerge qualcosa di autenticamente soggettivo. Il clinico si trova così nei panni di uno psicoanalista degli anni venti o trenta, esposto a denigrazioni di carattere più etico che teorico. Queste potenti emozioni si scagliano così contro il mezzo, la terapia online, che ha svelato il gioco, esclamando che il re dell'identificazione con la tribù è nudo. Un analista esperto che lavori nel proprio studio da numerosi anni, il giorno in cui avvia la prima terapia online si trova in una condizione simile al giovane collega che incontra il suo primo paziente. L'insieme degli automatismi è scompigliato, resta l'esperienza nuda. I timori e le fantasie di ordine persecutorio fanno breccia facilmente. Ora, è proprio questo tipo di esperienza che rende interessante ai miei occhi la terapia online. Questa tecnica consente di sommare due vantaggi: offrire a persone che abitano in luoghi inaccessibili la possibilità di un aiuto analitico, permettere all'analista-inoltre- una feconda e interessante palestra emotiva e immaginativa che indirettamente consenta di mettere a fuoco aree non pensate del proprio operare. Se consideriamo, dunque , il portato intrinsecamente scandaloso del nostro lavoro, non stupiscono le critiche alla terapia online di carattere esplicitamente etico, quali quelle di interesse economico. Ora, chiunque si appresti al lavoro online, scopre che risulta particolarmente faticoso. Tutto il contrario rispetto alla pigra esecuzione di un compito a proprio vantaggio. Costringe e esserci in pieno, dando spazio a improvvisazione e fantasia. Quale potrebbe essere l'interesse univoco dell'analista? Forse quello di allargare la cerchia possibile dei propri pazienti? E' possibile, ma in questo non dovrebbe esserci nulla di male. A ben vedere, è proprio questa accusa che svela un piano implicito. Allargare la cerchia dei propri analizzandi sarebbe un atto disonesto se vi fosse il progetto di contrabbandare qualcosa di equivoco o illecito. In questo caso la terapia online sarebbe uno stratagemma per propagare la propria dubbia mercanzia il più lontano possibile. Bene, credo che sia proprio così! Il lavoro di analisi, come ricordava Jung, è opus contra naturam, qualcosa che agisce in disaccordo col ritmo naturale dell'identificazione inconscia con la collettività. E' eversivo di per sé, anche se non si traduce in conflitti espliciti con la società. Questo nucleo perturbante dell'esperienza soggettiva, non coperto dalla pratica abituale e impensata, si svela a un cambiamento della tecnica, quale la terapia online, e espone all'attacco e alle calunnie del branco la pelle nuda del vissuto privato dell'analista. Questo piccolo sconquasso interiore costringe nuovamente a pensare. Basterebbe questo salutare rimescolamento di abitudini e passioni per consigliare la pratica online anche e soprattutto ai colleghi più esperti.


La terapia online è un'innovazione che costringe l'analista esperto a confrontarsi con un cambiamento improvviso delle proprie abitudini. Il carattere rituale e ripetitivo dei comportamenti analitici svolge un'importante funzione difensiva proteggendo l'analista da angosce di tipo persecutorio che, a mio avviso, sono caratteristiche e inevitabili nella pratica analitica. Chi si occupa della propria ed altrui soggettività, infatti, è esposto alla immaginaria persecuzione da parte dell'ambiente di provenienza. Angosce simili al superamento delle colonne d'Ercole o all'atto di afferrare la mela proibita. Per queste ragioni, a mio avviso, la terapia online incontra frequentemente critiche che assumono una carattere non solo tecnico ma anche etico. Come se questa novità, spogliando la pratica dall'abituale ritualità acquisita, mostrasse la pelle nuda della propria colpevole soggettività. In questo articolo, inoltre, suggerisco che, nel caso di terapia online, è importante che l'analista faccia del proprio meglio per affinare la collaborazione, piuttosto che porsi come oggetto d'attaccamento.

Bibliografia

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